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Storie di trapiantati. "Mi è cambiata la vita con il cuore di una donna"

L'esperienza di Enrico Capuano, musicista rock. Due anni in lista d'attesa, poi il trapianto al San Camillo di Roma. "Mi curo con più attenzione anche per onorare il dono di questa sconosciuta"

Storie di trapiantati. "Mi è cambiata la vita con il cuore di una donna"
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2 Ottobre 2020 - 18.37


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di Daniela Amenta

Enrico Capuano è un musicista romano noto e combattivo, il suo folk-rock impegnato e sanguigno lo ha portato a collaborare con grandi artisti – da Edoardo Bennato a Claudio Lolli- e ad esibirsi in mezzo mondo: Bulgaria, Cuba, Paesi Bassi, Germania, Lussemburgo, Portogallo, Iraq, Canada, Svizzera e negli Usa. Poi, a un certo punto, Capuano si è fermato. Il cuore ha smesso di funzionare. Due anni di lista attesa fino al trapianto. Era la fine di agosto del 2016. Oggi Enrico è vivo (e lotta insieme a noi) grazie al dono di una giovane donna.

Enrico Capuano vuole raccontarci la sua storia?
Volentieri. Sono venuto al mondo il 27 luglio del 1964. Appena nato mi diedero pochi giorni di vita. I dottori dissero ai miei genitori che soffrivo di un soffio al cuore grave. Invece ce l’ho fatta e per un tempo lungo ho avuto rari ma gestibili problemi cardiaci. O così, almeno, a me sembrava. Ho sottovalutato un problema molto serio, anzi serissimo. Poi nel 2000 il primo by bass, poi gli stent. Avevo un cuore debole, debolissimo e per aiutarmi mi installarono una macchina di supporto cardiaco e un defibrillatore automatico per il controllo dell’attività elettrica. Non riuscivo neppure a fare una rampa di scala. Suonavo pochissimo, e dal vivo sempre seduto. Poi nel 2014 durante un concerto ho perso i sensi, sono caduto sul palco, non ricordo altro.

Un segnale, purtroppo, inequivocabile.
Già. Non sono morto perché si è attivato il defibrillatore. Ma da quel momento le mie condizioni sono apparse chiarissime. Sono entrato nella lista di attesa per un trapianto cardiaco all’ospedale San Camillo di Roma, seguito dal team del professor Musumeci e dal dottor Vito Piazza, in particolare. Ho fatto check continui, analisi di ogni tipo perché se ti chiamano, quando accade, devi essere pronto. Non puoi allontanarti oltre i 100 chilometri dalla città dove sarai operato e soprattutto è neccasrio entrare nell’ordine di idee che se tutto va bene il tuo corpo custodirà l’organo di un’altra persona.

E l’hanno chiamata.
Sì, per fortuna. Era la notte tra il 26 e il 27 agosto del 2016. Mi hanno detto: ci siamo, c’è il cuore adatto a te, al tuo torace. Ho iniziato a tremare di paura, non lo nascondo, è un intervento importante, non sai come andrà a finire, se ci sarà il rigetto. Mi sono addormentato stremato e ho sognato una giovane donna sorridente, mai vista, che mi parlava. Un sogno così vivido, così reale. Sono entrato in sala operatoria poche ore dopo. E prima di cadere nell’oblio dell’anestesia ho sentito una voce, forse di un’infermiera che diceva al cardiochirurgo: “il cuore della ragazza”. Non ho mai chiesto nulla, è giustamente vietato conoscere il nome del tuo donatore, ma io so che era una “lei”. Le ho anche dedicato una canzone. Si intitola “Viva”. La sua fine ha segnato la mia rinascita. Ci penso spessissimo. Mi curo con attenzione anche per lei, per riguardo del suo cuore che batte in me. E’ il mio angelo custode, oramai.

Lei è diventato una sorta di testimonial rock per le campagne di donazione.
Certo. Ci mancherebbe. Considero la donazione non solo un gesto bello e fondamentale ma doveroso e civile. Cerco di parlare soprattutto ai ragazzi, provo ad usare un linguaggio consono, fuori dalla grammatica istituzionale, per far loro comprendere quanto sia necessario donare. Mi chiamano tanti giovanissimi cardiopatici per condividere con me le loro paure, i tormenti. Eccomi, dico, sono vivo. Prendo 20 medicine al giorno, assumo gli immunodepressori per evitare il rigetto ma sono qui, suono, canto, compongo, vivo, addirittura sono riuscito a tornare in America con il mio gruppo. Spiego ai ragazzi che siamo in Italia, abbiamo una grande sanità pubblica che deve essere rafforzata, sostenuta, non tagliata, non mortificata. Io non ho solo subito un intervento salvavita, ma sono ancora sotto tutela. E questo ha costi altissimi che grazie al SSN sono totalmente coperti dal pubblico. Di questo dobbiamo andare orgogliosi.

E’ cambiata la sua sensibilità con il cuore di una donna nel petto?
Sì, mi commuovo di più, noto particolari, sfumature che prima neppure vedevo. Mi gusto le cose più semplici, ora. Per me e per lei.

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