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Soffri di emicrania? Oltre il dolore quasi sempre rischi di perdere il lavoro

Sono più di sei milioni gli italiani che ne soffrono: e oltre alla sofferenza devono fare i conti con senso di colpa, difficoltà nel fare progetti, isolamento, limitazioni in ogni aspetto della quotidianità

Soffri di emicrania? Oltre il dolore quasi sempre rischi di perdere il lavoro
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24 Luglio 2020 - 20.17


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Solo chi ne soffre sa. Sa il dolore. E non solo. Anche senso di colpa, difficoltà nel fare progetti, isolamento, limitazioni in ogni aspetto della quotidianità, problemi sul lavoro, incomprensione da parte degli altri che poco sanno della malattia. I 6 milioni di italiani che soffrono di emicrania vivono spesso una vita sospesa tra un attacco e la costante paura del successivo. È quanto emerge da una ricerca promossa dall’azienda farmaceutica Teva Italia e condotta da Elma Research, presentata oggi nel seminario web “Emicrania: bisogni da soddisfare e sfide da vincere. Fremanezumab, una nuova opportunità per i pazienti”. Un incontro dedicato alla prima terapia mirata contro questa malattia, dal 21 luglio rimborsata dal Servizio sanitario nazionale per i pazienti adulti che presentano almeno 8 giorni di emicrania al mese e con la prescrizione di un centro cefalee.

“L’emicrania – ha spiegato Cristina Anfossi, direttore di ricerca di Elma Research – pervade tutte le dimensioni della vita di una persona. La paura dell’attacco porta a fare attenzione a ogni elemento che potrebbe scatenarlo: l’alimentazione, il sonno, la temperatura, la luce, il rumore. Le persone, in particolare le donne, finiscono per percepirsi come ‘difettosi’, si sentono in colpa perché la malattia sottrae tempo da dedicare ai figli, al partner, agli amici”. E nel mondo del lavoro i problemi peggiorano. “L’ambiente lavorativo – continua Anfossi – spesso non aiuta: open space in cui c’è rumore, luce inadeguata, ore al pc, odori. Oltre questo ci sono i pregiudizi da affrontare. Spesso quindi si finisce a non raccontare a colleghi e superiori la propria malattia con le difficoltà di conciliare gli attacchi invalidanti con il lavoro”.

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