La relazione tra ambiente e salute è da tempo al centro delle agende delle politiche di tutto il mondo. Eppure ancora si fatica a trasformare in pratica una realtà evidente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che oltre il 25% delle malattie negli adulti ed oltre il 33% nei bambini sotto i 5 anni siano dovute a cause ambientali evitabili e che siano circa 13 milioni le morti attribuibili annualmente ad esposizioni ambientali, di cui oltre 7 milioni legate al solo inquinamento atmosferico.
Dall’ultima indagine statistica della Commissione Europea sulle percezioni dei cittadini riguardo all’ambiente emerge una convinta tendenza da parte sia degli europei (94%) che degli italiani (95%) a considerare la protezione dell’ambiente un problema importante. I cambiamenti climatici (51%), l’inquinamento dell’aria (46%) e la crescita della produzione di rifiuti (40%) sono considerate le questioni più rilevanti, quelle cioè che destano più preoccupazione per la sicurezza e la salute. Eppure nel 90% dei casi i cittadini del vecchio Continente non ritengono si stia facendo abbastanza in materia di ambiente e salute pubblica. E in particolare per ridurre e prevenire l’accumulo di inquinanti nell’aria, nell’acqua, nel suolo e nel cibo, alla base di gravi e irreversibili dissesti ambientali che pesano non solo sul presente ma sulle generazioni future.
Facce della stessa medaglia
Lo sappiamo: la distruzione degli habitat naturali, una industrializzazione selvaggia e devastante, il riscaldamento globale e il cambiamento climatico sono facce della stessa medaglia. E gli scenari che si prospettano hanno superato la soglia dell’allarme. Siamo oggettivamente in pericolo. Secondo un rapporto pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la Riduzione del Rischio Disastri (UNISDR), fra il 1998 e il 2017 le perdite economiche causate dai disastri ambientali e climatici sono aumentate del 151% rispetto al ventennio precedente, passando da 1.313 miliardi di dollari a 2.908 miliardi. E che dire poi delle pandemie, lo “spillover” raccontato da David Quammen, il salto di specie per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana?
Come ribadisce l’Istituto Superiore di Sanità: “È solo tramite l’incrocio tra dati ambientali, territoriali e urbanistici, epidemiologici, della mortalità così come di altri indicatori sanitari, demografici, culturali e sociali che si può tracciare, per una determinata popolazione, una serie di scenari possibili. Utili a regolare e a prevedere, quando necessario, azioni di politica sanitaria che migliorino la salute della popolazione e limitino i danni derivanti da specifiche componenti ambientali”.
Medici per l’ambiente
Dal 1989 in Italia esiste l’ISDE, l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente. Sono professionisti consapevoli che tutelare l’ambiente significa curare anzitutto la salute pubblica. Maria Grazia Petronio, medico specialista in Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica e in Nefrologia, è presidente di ISDE Pisa. E’ lei a curare Ambiente e salute, un saggio edito da Aboca, che reca come sottotitolo: “Conoscere i fattori di rischio per prevenire le malattie infettive e cronico-degenerative. Il libro fa il paio con un’altra pubblicazione di Aboca, del 2019: Inquinamento ambientale e salute. Per una medicina responsabile firmato oltre che da Petronio anche da Vitaliana Murgia e Agostino Di Ciaula.
In Ambiente e salute, con il contributo di biologi, genetisti, veterinari, oncologi, pneumologi, ricercatori e ricercatrici, si fa il punto sulla relazione inossidabile tra il “fuori” e il “dentro”. Scrive Petronio: “Il più delle volte non abbiamo né conoscenza né consapevolezza dei rischi che si annidano nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e nel cibo che mangiamo, elementi che potranno avere effetti anche a decenni di distanza dall’esposizione. Ognuno di noi, attraverso buone pratiche quotidiane, può ridurre il rischio di contrarre certe patologie e, nello stesso tempo, può contribuire a migliorare la qualità dell’ambiente in cui vivono altre persone”.
Le buone pratiche sono elencate, spiegate con grande semplicità, dimostrate. In casa, all’aperto, a scuola, in ufficio, a tavola. Cosa fare per non inquinare, ad esempio, e mantenere in “salute” il nostro piccolissimo pezzo di universo e dunque noi stessi e le nostre comunità.
Buone pratiche ed economia circolare
Però – avverte – l’epidemiologa ” le buone pratiche individuali, anche se molto utili e necessarie, non sono sufficienti. I problemi ambientali hanno dimensioni planetarie e richiedono interventi strutturali che non possiamo realizzare da soli: c’è l’esigenza di un vero e proprio cambio di paradigma che deve avvenire a livello politico, realizzando quell’economia circolare di cui molti parlano ma che richiede un’integrazione equilibrata e sostenibile con le produzioni degli ecosistemi naturali”.
E’ una lettura forte e appassionante come un viaggio. Si scopre cosa sono gli Interferoni endocrini, che cos’è l’Epigenetica, come si sviluppa un tumore, quanto la crisi del clima pesa nella moltiplicazione dei virus. Ma soprattutto questo libro è una guida per tenere gli occhi aperti e alta l’attenzione.
Petronio avverte infatti: “Le malattie cronico-degenerative, proprio perché correlate a fattori ambientali, si prestano bene a interventi di natura preventiva. Tuttavia, poiché nella società industrializzata anche la malattia è diventata fonte di profitti, si è arrivati alla cosiddetta medicalizzazione della salute, che riduce la prevenzione e impedisce al cittadino di capire e fronteggiare in modo autonomo il problema”.
Come diceva Einstein: “Qualunque sciocco può sapere. Il punto è capire”. E capire oggi è quanto mai necessario, il primo passaggio indispensabile per la consapevolezza e la difesa di noi stessi, degli altri e del pianeta che ci ospita.