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Il microbiota intestinale: quel nuovo organo da tutelare

Un articolo del Prof. Giuseppe Merra, gastroenterologo di fama, per capire come funziona e come tenere in salute quella popolazione numerosa e diversificata di batteri che risiedono nell'organismo

Il microbiota intestinale: quel nuovo organo da tutelare
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14 Ottobre 2020 - 14.47


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Prof. Giuseppe Merra

Docente di Scienze e tecniche dietetiche applicate all’Università di Roma Tor Vergata, e di Gastroenterologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

 

 

Il termine microbiota si riferisce ad una popolazione numerosa e diversificata di batteri che risiedono nelle parti del corpo esposte all’esterno, tra cui: la cute, il naso, la bocca e l’intestino. La più alta concentrazione di questi organismi si trova nel tratto gastrointestinale dove sono principalmente presenti batteri che appartengono a più di 1000 specie differenti (90% ai Firmicutes ed ai Bacteroides). La composizione nelle singole specie microbiche varia molto tra individui diversi e, all’interno dello stesso individuo, la comunità tipica rappresenta un tratto distintivo e caratterizzante. Il microbiota di un individuo si insedia a partire dalla nascita e subisce diverse modifiche nei vari stadi della vita. Prima della nascita il nostro organismo è sterile, ma, dalla nascita, in poi si assiste ad un processo di colonizzazione che porta rapidamente allo svilupparsi di una microflora, la cui composizione dipende da: fattori genetici, tipologia del parto (naturale o cesareo), microflora materna, tipo di allattamento. Ad esempio, durante il passaggio attraverso il canale del parto, si ha la prima esposizione ai microbi; i nati con parto cesareo, infatti, presentano un microbiota intestinale differente, che sembra essere associato ad un aumentato rischio di malattie, sovrappeso ed obesità, se paragonati ai nati da parto naturale. Entro il primo anno di vita, poi, la microflora del bambino diventa simile a quello dell’adulto.

Sebbene il microbiota si stabilisca precocemente, si modifica nel tempo, poichè influenzato da età, sesso, abitudini alimentari, localizzazione geografica, utilizzo di farmaci. I fattori che ne definiscono la composizione e la concentrazione nelle specifiche porzioni del tratto intestinale sono: pH, presenza di enzimi gastrici, sali biliari, velocità di transito peristaltico, concentrazione dei nutrienti, etc. La composizione della microflora intestinale determina lo stato di salute e la funzionalità intestinale prevenendo l’attacco di microrganismi patogeni e presenta varie funzioni, fra cui: difensiva, di modulazione della risposta immunitaria, trofica, digestiva, di sintesi delle vitamine. Non tutti i batteri della microflora hanno azioni benefiche, però, infatti alcuni producono metaboliti tossici o cancerogeni, per cui la superficie epiteliale della mucosa gastrointestinale ha anche il compito di distinguere tra “self” e “non self”. Alterazioni a livello dell’intestino possono provocare la cosiddetta “leaky gut syndrome” caratterizzata da un’alterata permeabilità intestinale dovuta a lassità delle giunzioni serrate tra le cellule intestinali con conseguente anormale stimolazione del sistema immunitario e comparsa di uno stato infiammatorio cronico della mucosa intestinale. Una condizione di alterata permeabilità intestinale può, quindi, favorire una alterazione del normale processo fisiologico di assorbimento con perdita di microelementi ed anormale interazione con gli alimenti.

La flora intestinale fisiologica è in simbiosi con l’organismo e definisce, pertanto, una condizione di eubiosi. Quando si instaura qualche processo che alteri tale equilibrio con la predominanza di germi patogeni, si ha la cosiddetta disbiosi intestinale. Si tratta, infatti, di un processo caratterizzato da un’ingravescente disorganizzazione della flora batterica autoctona intestinale che può portare ad alcuni sintomi quali: cattiva digestione, gonfiore, stitichezza alternata a dissenteria, cambiamenti d’umore, disturbi del sonno, candidosi vaginale, irritazione della mucosa intestinale, malassorbimento, ecc. È, ormai, indiscussa l’associazione con alcune malattie quali: celiachia ed altre forme di malassorbimento, allergie, malattie infiammatorie, colon irritabile. Si è notato, infatti, che i soggetti affetti da tali patologie presentino un assetto microbico intestinale differente rispetto alla popolazione sana. Stretta associazione sembra esserci anche con la tendenza all’obesità.

Le cause della disbiosi sono legate allo stile di vita: alimentazione non adatta e/o industrializzata, ritmi lavorativi stressanti, mancanza di attività fisica, utilizzo di farmaci (es. antibiotici, lassativi, anticoncezionali, vaccini). La dieta sembra svolgere un ruolo molto importante, infatti, diversi studi epidemiologici hanno associato l’aumento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, alla diffusione della “Western diet”. Quest’ultima è caratterizzata da elevati livelli di carni rosse, carboidrati semplici (zuccheri), grassi, cereali “raffinati” e da bassi livelli di vegetali, frutta e pesce. Questa dieta è sempre più diffusa nei paesi in via di sviluppo ed i danni che comporta sono dovuti all’incapacità del genoma umano di adattarsi ai rapidi cambiamenti. Gli alimenti esplicano i loro effetti sull’infiammazione tissutale, sia per azione diretta sulle cellule, sia perché regolano la composizione del microbiota intestinale. Una dieta povera di fibre altera il microbiota intestinale con una ridotta produzione, da parte dei batteri presenti, di composti modulanti la risposta immune. L’eccesso cronico di nutrienti e calorie può indurre segnali di stress intracellulare che portano all’infiammazione dei tessuti che è alla base della sindrome metabolica e di altre condizioni patologiche.

Una dieta corretta va instaurata, quindi, fin dall’infanzia perché le abitudini alimentari, a lungo termine, hanno un effetto considerevole sullo stato di salute. La dieta mediterranea è sempre più considerata quella standard per la salute dell’uomo: ricca di olio d’oliva, frutta, verdura, cereali integrali, noci e frutta secca, con un modesto consumo di pesce e pollame, e povera di carni rosse e carboidrati semplici. Sarebbero le caratteristiche nutrizionali del complesso degli alimenti piuttosto che i singoli macronutrienti (proteine, carboidrati e grassi) e micro-nutrienti (minerali e vitamine) a giocare un ruolo importante nell’effetto protettivo della dieta mediterranea.
Negli ultimi anni è aumentato anche l’utilizzo di probiotici (definiti come organismi vivi) che sembrerebbero conferire benefici alla salute. Numerosi ceppi sono stati studiati e si è evidenziato che alcuni di essi sono efficaci per il miglioramento della sindrome dell’intestino irritabile, della colite ulcerosa e malattie infettive, oltre a ridurre il rischio di eczema ed altre condizioni allergiche, influenzando l’attività del microbiota, piuttosto che modificandone composizione.

Una delle sfide recenti è quella di individuare le sequenze geniche delle popolazioni microbiche che colonizzano il nostro tratto digerente e che costituiscono, nel complesso, il microbiota. In questa prospettiva il corpo appare costituito da una minoranza di cellule somatiche e da un meta-organismo composto da una miriade di cellule microbiche, definito da alcuni autori come un nuovo organo.
Non v’è dubbio, quindi, che il microbiota rappresenti un elemento di notevolissima importanza per lo stato di salute del nostro organismo e, in quanto tale, andrebbe salvaguardato con dieta e stile di vita, evitando che il suo equilibrio possa andare incontro ad alterazioni.

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