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Sfidiamo il Covid-19 con la telemedicina, se non ora quando?

Ne ha parlato anche Mario Draghi al Senato. Siamo un Paese di pionieri nel campo della medicina a distanza, abbiamo assolute eccellenze ma di fatto questa rivoluzione non è mai partita. Ecco perché

Sfidiamo il Covid-19 con la telemedicina, se non ora quando?
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Daniela Amenta Modifica articolo

18 Febbraio 2021 - 16.01


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La scorsa estate è nato salute.globalist.it, l’ultima costola di un ampio progetto scientifico curato dalla nostra redazione. Non solo un sito ma anche una rivista trimestrale, cartacea, che di volta in volta individua un tema e lo sviluppa. L’ultimo numero di Global Health, questo il nome del nostro periodico, è stato incentrato sulla telemedicina.  A fronte di quasi 44mila medici e operatori sociosanitari morti in corsia per Sars-Cov-2 e di altrettanti pazienti, soprattutto anziani, infettati negli ospedali e nelle Rsa, la risposta del SSN deve essere assolutamente riveduta e corretta. Una delle armi a nostra disposizione è la medicina a distanza. 
Ne ha parlato nel suo discorso al Senato Mario Draghi. Al Governo che verrà anche noi, come operatori della informazione scientifica, chiediamo uno sforzo reale perché la progettualità lasci spazio alla concretezza, utilizzi finalmente i saperi di chi lavora quotidianamente e da tempo con la telemedicina. 
“La pandemia lascerà un segno indelebile sulla società ed è probabile che dia una spinta a nuovi modelli di cura, come la telemedicina.”
Lo scrivono sulla rivista JAMA Oncology gli autori di un articolo nel quale si analizza l’uso che si è fatto finora della telemedicina durante COVID-19. Uso purtroppo molto limitato rispetto allo sviluppo delle Ict (Information and Communications Technology), la moltiplicazione dei device, la geografia di Reti e fibra che oggi raggiungono buona parte del territorio planetario. Non è, dunque, un problema solo relativo agli strumenti, quanto un impasse culturale. Eppure la telemedicina mai come in questo momento sarebbe un’interfaccia fondamentale. Il problema, per quanto riguarda il nostro Paese, è la mancanza di un approccio nazionale, normato, chiaro e definitivo. Quindi passiamo da esempi straordinari, per esempio l’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova iperconnesso a 10Gb, a veri e propri buchi digitali, in cui la telemedicina resta un oggetto misterioso, vagheggiato talvolta ma di fatto mai applicato. 

Equità nell’accesso dei servizi sanitari
La telemedicina, uno dei principali ambiti di applicazione della sanità in rete, offre potenzialità rilevanti in termini di accresciuta equità nell’accesso ai servizi sanitari e a competenze di eccellenza, grazie al decentramento e alla flessibilità dell’offerta di servizi resi ma deve essere oggetto di un sistema di accreditamento che dia garanzia ai pazienti, agli operatori e al soggetto «pagatore». Come scrivono  Gabriella Borghi, esperta in progettazione e gestione progetti di sanità digitale e Loredana Luzzi, direttore Generale dell’Università  Bicocca di Milano, “documenti di programmazione nazionale, quali ad esempio il Piano della cronicità (2016) e il Patto per la sanità digitale (2015-2017) delineano un quadro di sanità digitale e pertanto si dovrà avere una stretta integrazione della telemedicina con gli altri supporti di eHealth. La telemedicina infatti “è uno strumento che può essere utilizzato per estendere la pratica tradizionale oltre gli spazi fisici abituali” – non è una discilpina clinica separata – e pertanto rientra nel quadro normativo generale essendo “una diversa modalità di erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie che si colloca nella cornice di riferimento che norma tali processi con alcune precisazioni sulle condizioni di attuazione”.

La cura digitale, il Piano delle Regioni
Una situazione, quella italiana a macchia di leopardo. Alcune Regioni, ad esempio il Piemonte, considerano la visita telemedica come un esame specialistico, altre – come la Toscana (e a breve la Sicilia) – usano un modello innovativo di teleconsulto pediatrico (Rete Pediatrica Toscana che connette dieci strutture pubbliche), utilizzato anche per il “progetto isole” (supporto clinico specialistico remoto alle strutture dell’Isola d’Elba e di Capraia) e teleconsulti di emergenza soprattutto legati al nuovo Coronavirus. 
In questo periodo così particolare il tema della cura digitale è finalmente entrato nei decreti e nei piani del Governo (dal Decreto rilancio al Piano Colao, fino al Documento di Economia e Finanza 2020) anche per mettere ordine, finalmente, a una situazione fin troppo frammentata. Ci sono territori (Veneto, Toscana, Piemonte, Abruzzo, Lombardia, Lazio, Sardegna ecc.) che hanno definito regole e tariffe per l’erogazione di servizi sanitari attraverso l’utilizzo della Telemedicina, facendo riferimento alle linee di indirizzo nazionale che ormai risalgono al 2014. Allo scopo di stabilire condizioni e regole omogenee, a fine luglio 2020, la Commissione Salute della conferenza delle Regioni ha proposto un documento specifico sull’erogazione delle prestazioni ambulatoriali a distanza attraverso soluzioni di Tele-visita. Le linee d’indirizzo, trasmesse al Ministero della Salute forniscono le indicazioni su sistema tariffario, classificazione, rilevazione, rendicontazione, adesione informata del paziente, responsabilità sanitaria durante attività in televisita e comunicazione dell’esito della prestazione ambulatoriale erogata in remoto. 
 
In sintesi il documento dice che:
Sono erogabili in Televisita le prestazioni ambulatoriali che non richiedono l’esame obiettivo del paziente (tradizionalmente composto da ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) ed in presenza delle seguenti condizioni:
– il paziente è inserito in un percorso di follow up da patologia nota
– il paziente è inserito in un PDTA formalizzato in Azienda, o a livello regionale
– il paziente necessita di monitoraggio, conferma, aggiustamento, o cambiamento della terapia in corso (es. rinnovo piano terapeutico o modifica dello stesso)
– il paziente necessita di valutazione anamnestica per la prescrizione di esami di diagnosi, o di stadiazione di patologia nota, o sospetta
– il paziente necessita di spiegazione, da parte del medico, degli esiti di esami di diagnosi o stadiazione effettuati, cui può seguire la prescrizione di eventuali approfondimenti, o di una terapia
– ogni altro scenario dove il medico valuti la possibilità di erogare la visita in modalità “televisita”. 

Italia, Paese di pionieri dell’assistenza in remoto
Un percorso complesso quello della telemedicina in Italia. Eppure vantiamo una competenza, in tale ambito, addirittura storica, pioneristica. Mentre in America si inizia a parlare di telemedicina negli anni Sessanta, con i primi lanci nello spazio, l’Italia sperimentava la cura in remoto già nel 1945.  Il Centro Internazionale Radio Medico (CIRM), con cui Global Health collabora e il cui contributo sulla telemedicina troverete in questo numero, 85 anni fa con il suo Presidente Guglielmo Marconi offriva assistenza medica ai marittimi imbarcati sulle navi di tutto il mondo attraverso le onde radio. Nel 1970 la Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sperimentò un prototipo di cardiotelefono; che portarono nel 1976 alla creazione di un “Comitato per la Telemedicina”. Tra le prime concrete sperimentazioni da menzionare, furono quelle avviate a Bologna nel 1976 dalla Fondazione Marconi relativamente a ricerche di tele-elettrocardiografia su linee telefoniche commutate, le quali consentivano di rilevare per via transtelefonica gli elettrocardiogrammi direttamente dall’ospedale al domicilio del paziente. 

Risparmi miliardari ogni anno
Nonostante tutto questo, la strada della telemedicina italiana è ancora in fieri. Al di là del Covid-19, come rileva una studio della Società Italiana di Radiologia  “l’evoluzione della dinamica demografica e la conseguente modificazione dei bisogni di salute della popolazione, con una quota crescente di anziani e patologie croniche, rendono necessario un ridisegno strutturale ed organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza”.

Scrive Fausto Salaffi dell’ Università Politecnica delle Marche: “Una stima dell’Ente di Assistenza e Previdenza dei Medici (E.N.P.A.M.) calcolava (nel 2012) un risparmio di tre miliardi di euro l’anno per l’uso di tecnologie digitali grazie alla deospedalizzazione di pazienti cronici a supporto della medicina sul territorio e dell’assistenza domiciliare; 1,37 miliardi per risparmi di tempo in attività mediche e infermieristiche grazie all’introduzione della cartella clinica elettronica; 860 milioni grazie alla dematerializzazione dei referti e delle immagini; 860 milioni grazie alla riduzione di ricoveri dovuti a errori evitabili attraverso sistemi di gestione informatizzata dei farmaci; 370 milioni di euro si otterrebbero grazie alla consegna dei referti via web; 160 milioni con la prenotazione online delle prestazioni; 150 milioni attraverso la razionalizzazione dei data center presenti sul territorio e al progressivo utilizzo di tecniche di virtualizzazione, e infine altri 20 milioni per la riduzione dei costi di stampa delle cartelle cliniche”.  

Insomma tra benefici economici, interventi mirati nel follow up, esperienze di assoluta eccellenza nella chirurgia e in altre branche mediche, assistenza di anziani e malati cronici in ogni angolo del Paese, anche il più distante, e protezione del personale medico-sanitario, la telemedicina sembra davvero la soluzione indispensabile in un mondo globalizzato, che deve confrontare i propri saperi scientifici per dare una risposta forte, comune, collettiva in nome della salute di tutti, anche i più fragili. 

Speriamo che davvero le parole diventino fatti. E la telemedicina abbia il ruolo e le risorse che merita all’interno del nostro SSN, abbia fondi e conoscenze per sviluppare nuovi filoni e altre ricerche, riesca ad imporsi come modello possibile di cura ed assistenza.  Se non ora quando? 

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