Uno studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE mostra l’impatto del Covid-19 sulle funzioni cognitive nei pazienti degenti presso l’Unità di Riabilitazione Covid-19 infettivi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. I pazienti erano stati ricoverati precedentemente in Terapia Intensiva e nei reparti di Medicina Covid-19 o Malattie infettive dello stesso Istituto. A condurre la ricerca è la dottoressa Federica Alemanno, Responsabile del Servizio di Neuropsicologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, con il coordinamento del dottor Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Lo studio ha identificato nell’80% dei casi la presenza di disturbi cognitivi (memoria, attenzione, orientamento) e nel 40% di depressione. Sorprendentemente i pazienti che nella fase acuta dell’infezione erano stati intubati e sedati risultano essere meno colpiti da problemi cognitivi e di memoria rispetto a coloro che erano stati ricoverati con il supporto solamente di una ventilazione non invasiva (ad es. casco CPAP) ed erano pertanto rimasti coscienti.
Il follow-up a un mese dalla dimissione ospedaliera e a circa tre mesi dall’esordio della malattia ha evidenziato inoltre che la maggior parte dei pazienti presenta ancora deficit cognitivi. «I nostri dati mostrano in modo certo la necessità di un intervento neuropsicologico riabilitativo precoce, quando ancora il paziente è positivo al Covid-19 ma non più in fase acuta. Ecco perché già durante i primi mesi della pandemia, il San Raffaele è stato tra i primi ospedali al mondo ad attivare un reparto di riabilitazione per i pazienti Covid-19 ancora infettivi, con lo scopo di recuperare le funzioni neurologiche – oltre che quelle motorie e respiratorie – perse durante la fase acuta della malattia nel più breve tempo possibile» commentano il dottor Iannaccone e la dottoressa Alemanno.
Lo studio
Circa il 20% dei pazienti ricoverati per Covid-19 al San Raffaele – tra Terapia Intensiva, Medicina Covid-19 e Malattie Infettive – ha avuto poi bisogno di essere assistito presso l’Unità di Riabilitazione Covid-19 dell’Ospedale. Stiamo parlando, nel caso della prima ondata della pandemia, di circa 140 pazienti. Lo studio pubblicato su PLOS ONE ne ha coinvolti 87, selezionati nella fase sub-acuta della malattia (circa dieci giorni dopo la comparsa dei sintomi e ancora infettivi) e con un età media di 67 anni. Per l’analisi dei dati, i pazienti sono stati separati in quattro diversi gruppi in base al tipo di assistenza respiratoria di cui hanno beneficiato nella fase acuta della malattia: dai pazienti più critici (intubati e ricoverati nell’Unità di Terapia Intensiva) a quelli meno critici, che non avevano ricevuto nessuna ossigenoterapia.
Degli 87 pazienti, l’80% aveva deficit neuropsicologici e il 40% mostrava una depressione lieve-moderata. I pazienti che avevano beneficiato della ventilazione non invasiva avevano uno stato cognitivo maggiormente compromesso (memoria, attenzione, orientamento, funzioni visuo-spaziali) rispetto a chi, invece, era stato
sottoposto a sedazione e intubato. Al follow-up di un mese, oltre il 40% dei pazienti presentava comunque segni di disturbo da stress post-traumatico.
«La relativa riduzione dei disturbi cognitivi nei pazienti sedati e intubati suggerisce che una delle cause del disturbo cognitivo possa essere rappresentata dal vissuto in fase cosciente di tutto il percorso ospedaliero della malattia. Lo stress emotivo prolungato, i cambiamenti di ambiente connessi all’ospedalizzazione, il distacco dai familiari e l’età avanzata sembrano essere fattori rilevanti che influenzano negativamente lo stato cognitivo dei pazienti» commenta Federica Alemanno, primo autore dello studio.
«A distanza del picco di emergenza della prima ondata, oggi possiamo affermare con certezza l’importanza di un approccio neuropsicologico diagnostico e terapeutico precoce nei pazienti Covid-19 ospedalizzati. I risultati del nostro studio mostrano per la prima volta quanto frequentemente si possano osservare deficit cognitivi (a breve e a lungo termine) nei pazienti ricoverati e di come possano essere influenzati dai tipi di assistenza respiratoria, soprattutto nei pazienti anziani» affermano Alemanno e Iannaccone.
«Poiché un numero elevato di pazienti mostrava ancora disturbi cognitivi e sintomatologia depressiva a un mese di follow-up, alle riflessioni sull’importanza di una diagnosi neuropsicologica e di training cognitivo precoci, si aggiunge anche un dato ulteriore sia sulla complessità della sintomatologia “Long-Covid” sia sulla conseguente necessità di supporto psicologico e di training cognitivo anche a lungo termine nel post-ricovero, possibilmente attraverso l’uso di nuove tecnologie, come la telemedicina» conclude Alemanno.
Covid-19, meno rischi cognitivi per i pazienti gravi sedati e intubati
La ricerca realizzata dallo staff dell' Unità di Riabilitazione Covid-19 dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Perché è necessario un intervento neuropsicologico riabilitativo precoce nei malati
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13 Febbraio 2021 - 10.02
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