Tra le reazioni avverse post Covid-19 c’è l’affaticamento persistente. Ne soffre circa la metà dei pazienti guariti dall’infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2, non associato alla gravità della malattia. Lo studio è stato realizzato dal team di ricerca del St James’s Hospital e del Trinity Translational Medicine Institute presso il Trinity College di Dublino, Irlanda, che ha analizzato i dati di circa 130 pazienti sottoposti al tampone rino-faringeo e risultati positivi al coronavirus.
Il gruppo, coordinato dal dottor Liam Townsend, ha coinvolto i partecipanti circa 10 settimane dopo la scomparsa dei sintomi clinici, quando erano considerati praticamente guariti. Gli ex pazienti sono stati tutti sottoposti al “Chalder Fatigue Score (CFQ-11)”, un test per determinarne il livello di affaticamento. Per valutare questo parametro Townsend e colleghi hanno tenuto in considerazione diversi fattori, come la gravità della patologia sperimentata; la presenza di depressione e di altre condizioni cliniche preesistenti; e i livelli di alcuni biomarcatori che evidenziano la risposta dell’organismo all’infezione. L’età media dei partecipanti era di 50 anni e poco più della metà (54 percento) era composto da donne.
Incrociando i dati gli scienziati irlandesi hanno determinato che oltre la metà dei pazienti (il 52,3 percento), ovvero in 67 su 128, ha sperimentato affaticamento persistente dopo la guarigione. Le donne sono risultate molto più colpite degli uomini (67 percento), così come le persone con una storia di depressione. Townsend e colleghi sottolineano che si possono predisporre terapie non solo farmacologiche per gestire la fatica, promuovendo anche modifiche allo stile di vita.