Virtual Hospital: cure in remoto ai pazienti Covid e visite specialistiche

Il bilancio del progetto della Statale di Milano con 36 ambulatori specialistici virtuali aperti a tutti per recuperare le milioni di visite ambulatoriali saltate, annullate o ritardate dalla pandemia

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24 Novembre 2020 - 17.43


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Tra le tante cose che andrebbero potenziate in Italia, a livello sanitario, c’è siucuramente la telemedicina, fondamentale in questo periodo di pandemia. Alla Statale di Milano lo scorso mese di marzo, in piena emergenza Covid-19, è nato il “Virtual Hospital” per seguire a domicilio i pazienti dimessi dagli ospedali, garantendo la continuità assistenziale e al contempo alleggerendo il carico di lavoro delle strutture sanitarie. Guidato dal Prof. Gian Vincenzo Zuccotti, preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Statale di Milano, l’iniziativa ha coinvolto 100 specializzandi dell’ateneo, consentendo loro di far pratica su casi reali e mettersi al servizio della comunità: “I medici provenivano da varie scuole di specializzazione, in quella fase non operative, perché molte delle loro unità sono state trasformate in unità Covid” – spiega il prof. Zuccotti – “L’esperienza maturata sul campo ha consentito ai giovani medici di crescere professionalmente attraverso il dialogo con i pazienti, imparando a selezionare in modo rapido ed efficace i bisogni prioritari come non sempre si riesce ad insegnare nelle aule universitarie o in corsia”.

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Durante la prima ondata dell’epidemia sono stati assistiti attraverso due chiamate quotidiane 1.400 pazienti dai medici in specializzazione, riuscendo ad evitare così complicazioni più gravi, ad esempio intercettando casi di embolia polmonare sopraggiunta dopo le dimissioni. Da marzo a oggi sono state gestite 63.359 chiamate, di cui 23.358 nella seconda ondata.

Prosegue Zuccotti: “Non era sufficiente e ci siamo resi conti di come fosse necessario garantire cure ospedaliere domiciliari e dare in quel frangente una televisita che diventa contemporaneamente lo strumento da mettere a disposizione per recuperare le milioni di visite ambulatoriali saltate, annullate o ritardate perché realizzabili solo in condizioni complesse che ne rallentano i tempi e ne riducono l’efficacia, a partire dai distanziamenti sociali all’ingresso, dalle condizioni di sicurezza e dal carico di dispositivi di protezione che deve indossare il personale ospedaliero”.

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A maggio, dopo appena due mesi di lavoro sul campo, il progetto si evolve e prende il nome di Cod20 (Cure Ospedaliere Domiciliari) con 36 ambulatori specialistici virtuali, 196 specialisti disponibili. Per Gian Vincenzo Zuccotti, Direttore del reparto di Pediatria e Pronto Soccorso Pediatrico dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco “l’idea è quella di una piattaforma che riproduca gli ambulatori specialistici per erogare le prestazioni da remoto o, per lo meno, capire chi va visitato in presenza in maniera prioritaria. Il concetto è quello di annullare le prenotazioni per dare la possibilità ai Medici di Medicina Generale di entrare nella piattaforma e inserire il paziente in un ambulatorio virtuale. A quel punto partono due sms che avvertono sulla presa in carico e sull’appuntamento in telemedicina”. Il sistema è rendicontabile e integrabile nel fascicolo sanitario elettronico, garantendo privacy e sicurezza dei dati sensibili. Al medico di base che ha in cura il paziente e ad ATS vengono inviati giornalmente report.
“È il Virtual Hospital che trasferisce l’ospedale sul territorio invece che il territorio in ospedale, da cui non è più possibile tornare indietro perché un centro unico di prenotazioni integrato di questo tipo aiuterebbe anche in tempi normali” prosegue Zuccotti. Che conclude: “La piattaforma può essere utilizzata da tutta la Regione e da tutta Italia. Ho provato in tutti i modi a rappresentarlo alla parte politica ma, lo dico con rimpianto perché l’esigenza assistenziale esiste, le reazioni davanti alle tragedie devono essere più celeri, l’immobilismo ci sta danneggiando. Ad esempio il personale negli ospedali che si trova a casa, positivo ma spesso asintomatico, con questa tecnologia potrebbe lavorare. Serve più coraggio di sperimentare, se non lo fa la Lombardia non si capisce chi lo debba fare”.

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