Gli urologi: più coordinamento con Asl e medici di base per garantire le cure

Il punto del X Congresso nazionale degli urologi: "Abbiamo ambulatori sicuri per i pazienti. Ma serve maggiore relazione anche con gli ospedali e con le Aziende sanitarie locali"

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23 Novembre 2020 - 16.59


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“I nostri ambulatori sono sicuri ed accessibili ma va potenziata la rete d’assistenza contro i tumori e malattie croniche”. E’ l’appello che arriva dal X congresso nazionale virtuale della società scientifica degli urologi territoriali: “Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia – afferma il presidente Corrado Franzese – finora siamo riusciti a garantire le prestazioni sanitarie. E’ però necessario un maggiore coordinamento con gli ospedali e i medici di famiglia”.
“L’urologo del territorio può rappresentare la chiave di volta per la gestione di patologie sia croniche che oncologiche. Deve essere però inserito in un percorso strutturato e condiviso, con gli altri specialisti e i medici di famiglia, per poter così assistere al meglio i pazienti durante questa complessa fase della pandemia. Il territorio, cioè le ASL, deve tornare ad essere la risposta primaria alla domanda sanitaria che viene da una popolazione spesso troppo intimorita per recarsi in un ospedale”, avverte la Società Italiana Urologia Territoriale (SIUT).

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“I nostri ambulatori sono presidi sanitari sicuri, accessibili e finora siamo riusciti ad elargire con regolarità le prestazioni sanitarie anche nei momenti più bui e tragici della pandemia – afferma Franzese -. Due terzi dei malati che vediamo nelle ASL sono colpiti da patologie croniche e per loro l’assistenza è proseguita. Abbiamo però dovuto dimezzare il numero delle visite e scaglionare gli ingressi per evitare pericolosi assembramenti. I pazienti più gravi, come quelli oncologici, sono invece stati assistiti per lo più a domicilio. Il Coronavirus ci ha insegnato che la gestione di un problema sanitario complesso può avvenire solo attraverso un forte coordinamento tra gli attori coinvolti. Stiamo invece riscontrando profonde fratture tra l’organizzazione sanitaria ospedaliera e quella territoriale. I pazienti ci sono stati affidati quasi sempre dal medico di famiglia senza una vera organizzazione strutturale con gli ospedali. Le criticità maggiori sono state registrate nelle zone più colpite dal Coronavirus dove vi è stata una fuga dalle grandi strutture sanitarie per paura di possibili contagi. L’emergenza ora tornata con la seconda ondata – conclude – ci impone di riorganizzare i percorsi d’assistenza soprattutto quelli inerenti ad alcuni tumori molto diffusi. L’ambulatorio urologico può e deve tornare a prendersi in carico il paziente dopo la diagnosi e l’intervento terapeutico”.

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