Studio sulla salute dei calciatori: meno ictus ma più rischi per le malattie degenerative

Ricerca epidemiologica retrospettiva su 7676 ex calciatori scozzesi professionisti. Le potenziali conseguenze sanitarie, a lungo termine, del giocare a calcio a livello professionale.

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28 Novembre 2020 - 14.12


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È stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio epidemiologico retrospettivo su 7676 ex calciatori scozzesi professionisti, identificati in un database, che fornisce “buone e cattive notizie” sulle potenziali conseguenze a lungo termine del giocare a calcio a livello professionale.
In confronto alla popolazione generale, gli ex calciatori scozzesi presentavano una mortalità più bassa per le malattie neurologiche e non neurologiche comuni (ictus cerebrale e tumori del polmone) – la buona notizia – ma risultavano più elevate la mortalità per malattie neurodegenative e la prescrizione di farmaci per la demenza (la cattiva notizia).
“In particolare – ha commentato il Prof. Gioacchino Tedeschi, Presidente della Società Italiana di Neurologia e Direttore I Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia, A.O.U Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli – dallo studio emerge come tra le malattie neurodegenerative sia riportata una maggiore mortalità per la malattia di Alzheimer mentre sia registrata una minore mortalità per la malattia di Parkinson”.
I risultati di questo studio si sommano a un filone di ricerca già portato avanti da diversi anni: fermo restando che l’esercizio fisico moderato, l’attività fisica, nonché la pratica sportiva a livelli più competitivi hanno importanti benefici per la salute, tra cui ridurre il declino cognitivo ed il rischio di manifestare demenza , alcuni sport di contatto che causano frequenti traumi o microtraumatismi ripetuti possono aumentare il rischio di compromissione cognitiva e neuropsichiatrica, ad esordio tardivo, dopo anni dall’attività agonistica, nonché il rischio di malattie neurodegenerative e di encefalopatia traumatica cronica (CTE).

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