Alzheimer, l'Intelligenza artificiale individua i meccanismi d'insorgenza

Chiariti alcuni meccanismi alla base dello sviluppo iniziale della malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza. L'indagine, tutta italiana, chiama in causa l'area tegmentale ventrale del cervello

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14 Settembre 2020 - 15.02


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Grazie all’impiego di un modello d’Intelligenza Artificiale in grado di simulare alcune funzioni del cervello umano, sono stati chiariti alcuni meccanismi alla base dello sviluppo iniziale della malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza. Ad annunciarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed.

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Al centro dello studio il malfunzionamento di una piccola area situata in profondità nel cervello, l’area tegmentale ventrale (VTA), che secondo l’ipoteci della ricerca potrebbe essere uno dei primissimi eventi associati alla malattia di Alzheimer.

“La VTA è composta prevalentemente da neuroni che producono dopamina, un neurotrasmettitore molto importante per la regolazione dell’umore e della motivazione. Basandoci sui risultati ottenuti in questi studi, abbiamo simulato al computer i processi patologici che si innescano nelle primissime fasi della malattia”, spiegano Daniele Caligiore e Massimo Silvetti del Cnr-Istc.

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Marcello D’Amelio e Stefano Puglisi-Allegr dell’Università Campus Bio-Medico e del Neuromed, aggiungono: “Questo lavoro ha consentito di chiarire come la degenerazione iniziale della VTA alteri a cascata la funzione di altri circuiti neuromodulatori, causando inizialmente sintomi simili alla depressione (tipici delle prime fasi della malattia) e favorendo in seguito l’accumulo di proteine neurotossiche che caratterizza la malattia (placche extra-cellulari di Beta-amiloide e grovigli intracellulari della proteina Tau), con conseguente distruzione di neuroni in aree del cervello funzionali alla memoria e ad altre funzioni cognitive”.
La ricerca apre una nuova strada alla diagnosi precoce e allo sviluppo di terapie da attuare nella fase iniziale della malattia, per riuscire a rallentare, se non addirittura a bloccare, la degenerazione di aree del cervello coinvolte nella produzione e nell’utilizzo della dopamina.

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